Nobel 2016 a Bob Dylan. Il “menestrello” dice no e salva la faccia.
19 Novembre 2016Dopo 60 anni passati a “cantarne” contro il Sistema, il cantastorie del Minnesota viene insignito del Premio ma, in linea col suo pensiero, rifiuta. Tranne l’assegno allegato…
Gli dèi non debbono concedersi, ma negarsi, farsi percepire, farsi adorare: altrimenti precipitano giù dall’empireo e diventano comuni mortali come noi. Col rischio di zozzarsi del fango degli invidiosi, e dei mediocri, sparsi ormai dappertutto.
E infatti a Bob Dylan si rimprovera, con tutta l’acidità possibile, di aver rifiutato il premio Nobel per la Letteratura 2016 ma non l’assegno collegato. Cioè di essere venale. Non è la prima volta che il poeta rifiuta un riconoscimento: lo ha fatto anche con Barack Obama.
Cose che per noi che ci vendiamo la mamma o andiamo a raccomandarci dal politico per una targhetta al premio di poesia del paese sono inconcepibili.
Lo scrittore inglese George Bernard Shaw nel 1925 (ma fu ufficializzato il 18 novembre del 1926) fece l’opposto: rifiutò i soldi. Ma a Londra, si sa, sono inguaribili snob. Boris Pasternak ringraziò ma il Kgb non gli diede il visto per andare a ritirarlo. Il filosofo francese Jean Paul Sartre rifiutò tutto in blocco: soldi e premio, ma era un esistenzialista, odiava la borghesia, passava i giorni a chiacchierare seduto ai bar di Parigi, viveva carpe diem. Si può oggi dire che era un nerd, seppure stagionato. Il rifiuto era in linea col personaggio. Cose dell’altro secolo insomma.
Sarebbe banale chiedersi se chi muove queste accuse avrebbe lasciato i soldi, tanto scontata è la risposta. Si rimprovera al menestrello di “tirarsela” ma intanto qui, al Paese nostro, non riusciamo a parlare manco con l’assessore, un tale che promettendo posti di lavoro è riuscito a farsi eleggere e che adesso, lui, sì che “se la tira”.
Ex abrupto, la domanda nasce spontanea: ma questi accademici di Stoccolma saranno un po’ ingenui? Un colpo di telefono non glielo potevano dare prima di annunciare al mondo che volevano premiarlo? Dylan è così educato e rispettoso che non intende cambiare la sua agenda nemmeno per andare a Stoccolma.
Bob Dylan dunque non andrà in Svezia il 9 dicembre prossimo alla cerimonia. E fa bene, non tanto per albagia (direbbe Totò), immodestia, ma perché è in linea col suo essere artista, uomo e personaggio pubblico. Uno che bussa alle porte del paradiso (“Knockin On Heavens Door”) non starebbe a suo agio fra gli accademici.
A parte il fatto che nessuno in Minnesota lo ha mai visto con una cravatta al collo, se ci andasse tradirebbe se stesso, la sua vita tutta anti-Sistema. Dovrebbe agghindarsi come un pinguino per dire banalità come un Renzi qualunque, che fra poco camminerà sulle acque del lago e guarirà Lazzaro. Stonerebbe con l’immagine del menestrello costruita in 60 anni di duro lavoro.
Un grande artista, un poeta, un cantautore, ha troppo rispetto delle parole, sa della loro enorme importanza, perciò ne fa un uso oculato. Per cui se ci anche andasse non avrebbe niente da dire.
Sbaglia la signora Dacia Maraini a dire che bisognerebbe inventarsi un Nobel a parte per la musica e quindi, sottinteso, quello a Dylan (e quindi, ancora, anche a Dario Fo nel 1998) è fuori luogo.
Dylan e l’autore di “Mistero Buffo” sono due grandi artisti ben dentro la carne viva della contemporaneità, ne sono l’essenza, la sintesi. Vi è da dire però, a loro discolpa, che hanno fatto bene gli accademici svedesi a cambiare format al premio perché, fra 50 anni, tutti si ricorderanno di Dylan e nessuno, o quasi, della scrittrice bielorussa cui lo diedero nel 2015 e i cui libri hanno letto forse solo in Svezia.
È come se fossimo nella Roma di Cesare e Nerone a fare baccano per il Nobel a Cicerone e non a Virgilio.
Un appunto agli accademici eredi di Alfred Nobel: nel 2017 fatevi un giro di telefonate preventive, sondate il terreno, aratelo, per non correre il rischio di gettare il seme sulla terra arida. Dal Polo Nord all’Equatore i bambini vi guardano.