Europa. Fallimento essenziale.
23 Settembre 2016La struttura portante del Sistema Europa non può essere abbattuta. E non può esserlo per via di vari fattori che i molti detrattori (a torto o a ragione, bah!), oggi, non tengono – forse – bene in conto. Ve ne dico almeno due.
Innanzitutto “Europa” si basa, storicamente su una cultura, una tradizione, teologico-politica millenaria come millenaria è la tendenza al dominio egemonico della stessa, la tradizione in sé: insomma, siamo troppo abituati, geneticamente – si potrebbe perfin spingersi a dire – abituati ad essere ciò che siamo; predatori, di stampo religioso, colonizzatori, campanilisti, autoctoni e stranieri, ma non solo. Già questi però sono, a mio avviso, buoni motivi e buoni temi di introspettiva ricerca per cominciare a far luce nel disagio esistenziale (individuale e collettivo) che l’uomo sta vivendo. Ma tutto ciò, che a buon diritto va sotto il nome di “tradizione”, è solo il primo dei due dilemmi – quasi – insormontabili che ci si pongono innanzi nel ripensare Europa.
Ripensare. Ecco la parola che ci porta diritti al nocciolo del “Sistema”: ripensare o decostruire?
“Decostruzione”, parola presente ormai nel vocabolario politico e filosofico attuale, fu usato in Essere e tempo (scritto di filosofia del 1927) per la prima volta dal professor Heidegger e poi ripreso, e portato avanti, dal collega francese Jacques Derrida. Se in origine, in Heidegger, il termine mira alla “distruzione” del modo in cui la tradizione metafisica guardava all’essere (e, da un certo punto di vista, analizzava il come uscire dalla metafisica e ne conclamava poi l’impossibilità), successivamente – sempre in Heidegger – “decostruzione” si pone come riflessione sulla storia della metafisica specificatamente occidentale. Il filosofo di Messkirch, in buona sostanza, ripensa – appunto – il termine non tanto come oltrepassamento di uno stato che è ma come una restaurazione in toto. Quindi, in ultima istanza, decostruire come restaurare tenendo a memoria ciò che è stato.
Si può? Si potrà?
Storicamente secolarizzati e gettati – altro termine di heideggeriana memoria – in questo Sistema ormai vincolante, e non è un male ma semplicemente una conseguenza, possiamo davvero credere che si possa uscire dalla mentalità eurocentrica?
Tanto vale questo discorso per chi in questa zona del mondo vive, quanto per coloro, quei territori e quelle popolazioni, che nei secoli sono stati conquistati sia territorialmente che culturalmente dagli europei.
A mio avviso, dunque, non si può uscire dall’Europa in quanto non se ne può uscire culturalmente. Potremo, forse sì, uscire dall’unione di Stati ma non dall’unione di culture così profondamente invischiate con la Storia. E tutto ritornerebbe allo stato attuale (a torto o a ragione, bah!).
Però potremmo stamparci moneta di Stato, tenendo la cultura di cui hai ben scritto e mandando al diavolo la Bce.
Finanziando così a iosa la spesa pubblica e distruggendo il valore stesso della moneta.
Come nello Zimbabwe.
Non è un caso che nei Paesi più avanzati Banche Centrali e governi sono indipendenti e separati, proprio per evitare un pericolo del genere, molto più grave di quelli che stiamo vivendo.
certo, son pienamente d’accordo con te anche se questo è un problema più economico che culturale. Ogni Stato, comunque, ha il suo euro e quindi, tanto vale che se lo stampi da sé senza dipendere da una ditta privata estera su un tema, come questo, prettamente nazionale.
Gracias Simone, habría que transitar de la europatria a la eurofratria, y previamente de la democracia a la demofratria, Andrés O.O.
Infatti, chi vuole uscire lo vuole per conservare i privilegi che derivano dall’essere europei.
Francesco, sta parlando di privilegi culturali o economici (diretti o indiretti che siano?
Caro Simone, penso che, purtroppo, anche quelli culturali siano solo il paravento di quelli pedestremente economici…