Shoah, Jaspers e le mie (di noi tutti) responsabilità nei confronti del presente e del futuro. Ma la colpa?

Shoah, Jaspers e le mie (di noi tutti) responsabilità nei confronti del presente e del futuro. Ma la colpa?

27 Gennaio 2018 0 Di Danilo Serra

Ricordo spesso le parole pronunciate dal professor Jaspers riguardo ai tremendi fatti accaduti ad Auschwitz. E oggi, 27 gennaio, le ricordo ancor di più, con più ardore, con molta più «inquietudine». Quell’inquietudine che ti afferra e non ti lascia muovere, gettandoti in un vortice disperato.

«Di chi è la colpa?», egli s’interrogava. «La colpa è di Hitler? Della Germania? Del comandante di turno? Dell’impiegato del campo di sterminio?». Nient’affatto.
C’è una ‘colpa’ – una responsabilità – che trascende e supera il singolo individuo, che si espande oltre la persona particolare, che non ha origine da una individualità. C’è una colpa che batte e tormenta tutti i nostri cuori, a distanza di anni. Lacera e addolora maledettamente. È una colpa che ci tiene legati e corrotti, tutti allo stesso modo, tutti allo stesso filo.
Quando di fronte al male non si è fatto tutto il possibile per impedirlo, quella colpa riguarda noi tutti – il genere umano intero. Siamo colpevoli e criminali, nessuno escluso. E oggi, 27 gennaio, lo siamo ancor di più. Tante sono ancora le domande che ci animano e costringono a riflettere su un dramma di così vasta portata. In primo luogo: Qual è oggi il significato dell’ormai convenzionale ‘giorno della memoria’?
E ancora, profondamente: Quali sarebbero state le «mie» responsabilità se avessi vissuto in quell’epoca? Come avrei agito?
È il passato ad interrogarci e, interrogandoci, chiama in causa il presente. Le domande, ovvero, si riproiettano sul presente più attuali che mai, facendosi con-temporanee, attraversando il nostro tempo. Questa memoria deve rimanere viva. Essa continua a mettere in gioco le nostre responsabilità sul presente (sull’oggi) e sul futuro (sul domani), segnando in modo autentico il nostro stare nel mondo. La memoria è tale perché richiama e reclama, non si esaurisce, illumina l’orizzonte di luce propria e invita l’uomo a guardare la realtà, confrontandosi con le sue dinamiche e inclinazioni.