Religione – Ayrton Senna e la Fede, un mito fra sport e benevolenza

Religione – Ayrton Senna e la Fede, un mito fra sport e benevolenza

1 Maggio 2017 0 Di Riccardo Narducci (Vaticanista)

Ayrton Senna, una grande storia di fuoriclasse della Formala Uno che s’intreccia con una sentita e spiccata componente religiosa.

Vittorie e adrenalina sulle piste di tutto il mondo, campione che ha gareggiato nella massima categoria a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 e un triste epilogo che tutti gli sportivi ricordano con dolore. Era il 1 maggio 1994, ore 14.17. Sul circuito di Imola.

 

Senna, da sempre dichiaratamente cattolico, mostrava al mondo come la sua passione sportiva fosse mossa da quella religiosa.

Per le zone più povere anche del suo amato Brasile, Ayrton, era molto più di un pilota perché grandi sono state le sue opere umanitarie e la vicinanza alla sua gente. Era un’icona, un esempio, un simbolo.

Ai suoi funerali nel maggio del 1994 la sua bara fu portata su un camion dei pompieri, il che rappresenta una alta onorificenza, in Brasile, riservata solo a pochi.

Tornando al personaggio, Senna riservava alla preghiera molto spazio e, anche durante i week end di gara, non era insolito a farsi sorprendere in preghiera oppure a parlare delle fede come stimolo principale della sua attività. Per lui tutto era mosso da Dio, le sue gesta, le vittorie (tante) e le sconfitte (poche).

In un week end di gara, mi sembra durante una qualifica, disse che in quel momento a guidare la macchina non fosse più lui, ma qualcuno con la Q maiuscola, a pochi intimi affermò di aver sentito viva la presenza del Signore con lui.

La sua fede era talmente viva e forte che non era da sprone solo per le imprese sportive, ma lo aiutava ad impegnarsi nelle tante opere di beneficenza, per la povertà nel mondo e nelle zone più povere del suo paese.

Senna infatti gestiva, all’ombra delle luci del mondo, molte attività intente ad alleviare in particolare i problemi legati alla fame nel mondo.

Dopo la morte, la sorella ne raccolse l’eredità fondando la Fondazione Ayrton Senna, ente che oggi rappresenta un punto di riferimento nella lotta alla povertà a livello mondiale. In cuor suo probabilmente Senna sapeva di non immaginarsi vecchio, a tratti anche durante le attività di gara sembrava accigliato, quasi vedeva il tempo scorrere velocemente. Fuori dai suoi impegni di lavoro passava molto tempo in famiglia dedicandosi “come se non ci fosse un domani”, come appunto se in meno di 40 anni volesse fare tutto il possibile.

Per lui la fede era il fulcro della vita, il veicolo principale cui poggiarsi ed affidarsi nel fare il proprio lavoro, fuori e dentro le corse. Nei vari libri scritti su di lui, con le varie frasi riportate, possiamo evincere che i richiami a Dio erano costanti a livello di pensieri e di atti concreti. Anche se non è l’unico caso in cui un campione di sport esteriorizzava e viveva la fede così intensamente, è certamente il caso fra i più lampanti. Il giorno prima della sua morte, il 30 aprile del 1994, vide morire un suo collega durante le qualifiche, ed il giorno prima ancora un suo collega e connazionale aveva rischiato la stessa sorte.

Senna vide così vanificati in parte i suoi costanti sforzi sulla sicurezza nelle corse, e confidò alla propria compagna dell’epoca che forse era il caso di fermarsi. Anche un dottore che curava i piloti quegli anni gli chiese se voleva fermarsi, lui rimase titubante. Non comprendeva appieno quella spirale di morte che si stava creando, si sentiva fragile e vulnerabile, come se sapesse che da un momento all’altro qualcosa poteva succedere.

Prima del fatidico “via” fece un gesto che mai prima in quasi 11 anni di formula 1 aveva fatto; a pochi minuti dallo start si tolse il casco di nuovo e mostro al mondo un viso accigliato, quasi angosciato dalla realtà che lo circondava. Nessuno pilota a meno di 5 minuti dall’inizio della corsa si toglie il casco di nuovo, lui lo fece. Senna era un pilota che non si nascondeva al mondo, mostrando la sua interiorità e la sua esteriorità nello stesso tempo, mostrando quanto l’uomo non fosse mai così invincibile. Il campione sapeva che solamente il Signore guida i nostri destini, indipendentemente dalle nostre volontà e, ancora oggi, la sua figura è viva nel mondo non solo dello sport ma, anche, della professione di fede e carità cristiana che ha dimostrato con la sua stessa vita.