Rallentare per evitare il fake e il vacuo?

Rallentare per evitare il fake e il vacuo?

17 Giugno 2020 0 Di Simone Caminada

Scrivere per scrivere, per restare “sull’onda” già di per sé dovrebbe essere pari al fake. Sì, perché non è utile al lettore un copiatore di fatti triti e ritriti.

L’originalità sta nel rinnovamento dei canoni di un’arte. Come dire, la Storia – s maiuscola – non terrebbe tanto conto di Brunelleschi, forse, se non avesse cambiato il modo di fare arte attraverso la “prospettiva”. E così pure di  Picasso con Les Demoiselles d’Avignon, che tanto sconvolsero il “lettore” dell’arte, cioè colui che vede-sente-legge e interpreta la cosa che ha davanti… il quadro o l’edificio o la composizione musicale ecc.

Pablo Picasso lo dipinse tra il 1906 e il 1907 a Parigi inaugurando la breve ma intensa stagione denominata Cubismo.

Voglio chiederci se non sia fake anche il continuare a scrivere della stessa “cosa” in cento e commentarla in mille. sì, certo la “cosa” va in potenza di accreditarsi e accreditare a sé mille e più sfaccettature di un unico fatto, ciò che è nello scritto, ma a chi giova? alla “cosa”, cioè lo scritto?

Temo che la stessa non se ne giovi, in vero, per via della cacofonia d’interpretazioni che va assumendo di volta in volta, di interpretazione in interpretazione.

Esempio pratico, prendiamo il Covid-19.

Ad un certo punto del lockdown (io preferivo quando lo chiamavamo italianamente “state a casa”) comparivano vignette umoristiche tipo «il numero degli esperti ha superato il numero dei ricoverati». E se da un lato lo posso sperare, tanto meglio avere esperti in nulla e tutto che morti in tristi circostanze, dall’altro mi chiedo quanto sia stato utile ai fini della comprensione del dato (il virus pandemico) questa ridondanza di “esperti”. 

E già, in effetti ci sono stati momenti in cui virologi e immunologi lo siamo diventati tutti.

Sembrava come quando al bar Sport tutti diventiamo Mister e presidenti di squadre calcistiche: «no, non dovevamo comprare Dybala ma girarlo con contratto vincolato pluriennale e bla bla bla all’infinito».

Come ideatore di Non Quotidiano quasi un mese fa chiesi ad un caro amico professore che vive a Berkeley, San Francisco, (e lavora presso la UC Berkeley) di darmi la visione americana della pandemia. Apriti o cielo!

Anche lì negli States era un manicomio di esperti che, diversamente dai nostri, minimizzavano per lo più. All’epoca, metà maggio, mi raccomandò comunque questo articolo del giornale tedesco Der Spiegel The Early Days of the Coronavirus Outbreak in Wuhan che se avete voglia di leggere non sembra essere lettura vacua.

Ecco cosa volevo in breve dire: c’è così poco che non viene ritwittato, rimaneggiato e scritto-fatto da cento altri insomma, che diventa sempre più difficile far incontrare il lettore con qualcosa che rappresenti per lo stesso «un rinnovamento nel suo modo di vedere il mondo e di atteggiarsi in esso».

Se, come qui sostengo, scrivere di notizia in qualche modo significa fare arte, proprio perché ha da fare col genio di chi scrive, allora ogni “notizia” cova in sé il germe dell’opera d’arte. E cosa è poi lo “scoop” o il bell’articolo se non un uscire da uno schema canonizzato per svegliare dal torpore del “tradizionale articoletto” il lettore?

Qualcuno obietterà che c’è scoop e scoop, con giusta ragione credo: lo scoop in cui veniva rivelato al mondo che il Covid-19 era già stato riscontrato dopo l’estate 2019 è un pò più “scooposo” di quello riguardante il nuovo seno della soubrette di turno.

E qui le carte si confondono. Se abbiamo detto che l’opera è opera d’arte in quanto suscita emozioni e scuote per una qualche forma di originalità, allora, per non confondere la pandemia con tette-subrette, dobbiamo non di meno ricordarci che l’opera d’arte sconvolge e coinvolge in ognun cui viene presentata (in altissima percentuale insomma). In altre parole, la notizia che non vuole essere quella roba trita e ritrita descritta verso l’inizio è universale, cioè ha valore per ogni uomo che l’apprende. 

Sarà per questo che bisogna averne cura come un parto della mente, anche perché entrando al mondo il lettore la recepisce e fa sua. è una responsabilità!

«un rinnovamento nel suo modo di vedere il mondo e di atteggiarsi in esso»

Gianni Vattimo, L’Ontologia ermeneutica nella filosofia contemporanea, in H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983, pag. 8