Renzi/ Macron. I due eletti dall’opposizione… e Obama?!

Renzi/ Macron. I due eletti dall’opposizione… e Obama?!

9 Maggio 2017 1 Di Danilo Campanella

Ad aprile, Matteo Renzi vince le primarie del Pd, rimontando in sella ed esclamando trionfante “un gigantesco grazie a tutti”. Un atteggiamento non dissimile da quello del neo presidente eletto di Francia, Macron, il quale ha ringraziato gli elettori, chiamandoli più volte suoi “amici”.

I francesi si sono espressi nettamente in suo favore, riservando un “misero” 30% alla pasionaria nazionalista Le Pen. In Italia, in un PD che pareva esultare per le sue dimissioni (in verità, ad esultare erano solo i dirigenti), le primarie hanno favorito l’ex premier, che ha incassato una larga maggioranza – oltre il 70% – e lasciando ai suoi motivati concorrenti un magro bottino: il 20 % a Orlando, e il 6% per Emiliano. Renzi è stato eletto segretario del PD con 2 milioni di elettori ma, bisogna ricordarlo, su 47 milioni di italiani (tutti, non solo gli iscritti PD, potevano recarsi alle urne del partito), ovvero, nemmeno il 5% della forza elettorale del Paese. Ma questo non possiamo attribuirlo né a Renzi, né al PD: non è un caso che, anche in Francia, un elettore su tre non sia andato a votare, o abbia votato scheda bianca. Peggio per loro, colpevolmente incoscienti. E peggio per noi. La politica non è solo andare a votare, anzi, quella è l’ultima cosa. La politica prevede partecipazione. Ma per fare politica serve tempo, e la gente non ce l’ha.

Due leadership forti, quelle di Renzi e di Macron, ancorate al passato, ad un potere partitico costituito sulle democrazie europeiste di matrice socialista. Gli europei, nonostante la crisi economica, l’emergenza immigrativa, i populisti destrorsi e movimentisti, stentano a scegliere misure diverse da quelle già percorse. Ho l’impressione che italiani e francesi si siano accorti di una cosa: la necessità di cambiare, ma con chi conosce la macchina di governo, anziché coloro che, gridando ai quattro venti la fine del mondo, non hanno né rappresentatività, né autorevolezza. I partiti di minoranza, centristi, destrorsi e movimentisti, non riescono a misurarsi appieno con l’attuale emergenza politica per tre ordini di ragioni:

  1. la mancanza di legittimazione delle masse cittadine e il loro consenso;
  2. l’assenza di appoggio politico ed economico europeo;
  3. la mancata autorevolezza culturale e intellettuale di cui, volente o nolente, una rappresentanza politica necessita.

Dopo il “bagno di umiltà” alla sconfitta di un referendum troppo autoreferenziale, Matteo Renzi ha sfruttato la mancanza di rappresentatività politica nello stesso PD e, grazie alle sue salde amicizie e simpatie presso l’Unione Europea e gli USA, ha avuto ogni tipo di appoggio e “benedizione” per ripercorrere, in tempi straordinariamente rapidi, la strada del potere. Non il direttivo, ma l’assemblea del PD e i suoi simpatizzanti lo hanno di nuovo scelto alla guida del primo partito politico italiano. Nonostante alcuni sodali lo abbiano messo in guardia nel percorrere la strada delle primarie, lui sapeva bene cosa fare: se la “cupola” lo voleva fuori, cercando in tutti i modi di detronizzarlo definitivamente, far votare gli esterni al PD avrebbe dato la possibilità a tutti, anche a grillini, leghisti e berlusconiani, di scegliere il proprio avversario. E così hanno fatto. Non credo che Renzi ignori la “simpatia” del tutto personale che i suoi oppositori hanno nei suoi confronti. Piuttosto che avere a che fare con la baronia sinistrorsa, non mi stupirebbe se i dirigenti d’opposizione, indotti dai vertici, abbiano incoraggiato i loro a votare alle primarie del Pd, per Renzi. Ma queste sono solo teorie.

Quello che è evidente, è che Matteo Renzi torna in sella al partito con 176.743 voti (66,7%), più del 2013, in cui ebbe 122.892 voti (45,3% dei consensi). Non mancherà molto che gli italiani lo rimettano dov’era anche alla Presidenza del Consiglio. Bisogna ammettere che, al di là dei partiti di centrosinistra europeisti, c’è il deserto. Non lo dico io, ma i cittadini. Abbiamo un M5S che arranca, solo, nella tempesta; una Lega che non convince fino in fondo e un centrismo popolare (una volta si chiamava centro destra) berlusconiano fatto di voti personali.

Il centro destra è Silvio Berlusconi, e i voti sono “suoi”. Mancando altri riferimenti, c’è un vuoto leaderistico e rappresentativo notevole. Quello che è indubbio, riguarda le prossime scelte di Matteo Renzi, ovvero, se preferirà candidarsi subito alle elezioni del 2018, oppure si andrà avanti con l’ennesimo governo tecnico-d’emergenza. Una volta ringraziato Gentiloni per la cortesia concessaci.

Nel mondo attuale, in cui grandi imperi economici avanzano, i cittadini hanno forse compreso che Russia, Cina, India, non sono entità astratte e lontane e non ci si potrà rapportare con loro se non come continente europeo. Forse lo ha compreso anche l’ “italietta”; più che nazionalista, è sempre stata provinciale. Noi siamo dei “provinciali”, immobili reazionari, nostalgici adoratori di feticci ideologici, ancorati a vecchie vie, raramente elevate, crociane o gentiliane, fascistoidi o comunarde, borboniche o papaline. Un Paese in cui le campane suonano soltanto “a morto”. Siamo circondati dalle macerie, e ce ne siamo affezionati. Le rovine sono per noi patrimonio comune, tanto di collocarci in un passato sempre presente e, quindi, al di fuori della Storia. Ma non si può.

Il nostro futuro, ne sono sempre più convinto, o sarà in Europa, o non sarà. Ma l’Europa non è l’Unione Europea. Sono due cose diverse, e in troppi non lo hanno capito.

Voglio ricordare, anche solo all’amato me stesso, l’anniversario che ricorre proprio oggi, purtroppo anche questo “a morto”:

il 9 maggio 1978 trovarono Aldo Moro nel baule di un’automobile. Una gloria per noi, che siamo presenti soltanto al passato.