Se davanti al notaio muore la politica: Ignazio Marino e le falsità su di lui.

Se davanti al notaio muore la politica: Ignazio Marino e le falsità su di lui.

10 Ottobre 2016 0 Di Francesco Greco

È durato un anno il “calvario” giudiziario di Ignazio Marino, sindaco della prima amministrazione d’Italia, il Comune di Roma. Che scontrini e Fiat Panda varie ed eventuali fossero fuffa sociologica lo si era capito subito.

Se un sindaco non può portare in trattoria un manager per parlare di progetti in progress, cosa può fare?

Ora la sua carriera è compromessa, se non finita. Ma la dinamica dei fatti svela, o conferma ulteriormente, la forbice fra narrazione e realtà, è un segno che la politica è malata, il sistema è avvitato su se stesso, il relativismo è sparso sull’idea di rappresentatività, prevale l’aggiramento (con tutti i mezzi leciti e illeciti e i bizantinismi possibili) della volontà popolare.

Mentre sullo sfondo si profila l’inquietante sagoma dell’autoritarismo e della fine della democrazia popolare così come pensata e messa sulla “Carta” dai padri costituenti ove prevalesse il “Si”.

Da un lato dunque abbiamo la crisi della rappresentatività, i parlamentari non sono eletti dal popolo, ma “nominati” dalle segretarie di partito non per il lavoro sui territori ma per la fedeltà ai “capi”, come nei regimi. Il che provoca un inaridimento dell’istituto della delega, la diaspora fra cittadini e politici, l’astensionismo di massa, la crisi del rapporto di fiducia fra elettori ed eletti.

costume-e-societa-se-davanti-al-notaio-muore-la-politica-ignazio-marino-e-le-falsita-su-di-lui-2Dall’altro la patologia si estende, la cancrena avanza con l’apparizione di una figura sinora estranea alla politica: il notaio. Marino non fu sfiduciato – ottobre 2015 – nel luogo dove gli era stata accordata la fiducia due anni prima: il consiglio comunale, dove avrebbe dovuto portare le sue ragioni e che si sarebbero scontrate con quelle di chi gliel’aveva data, e voleva togliergliela. Ma in 26 firmarono il suo ostracismo nelle segrete stanze di uno studio notarile. L’ulteriore morte della politica.

Perché – al di là dei tanti significati che si possono dare – quel fatto decretò l’inutilità del pensiero del popolo sovrano, che aveva eletto Marino prima scegliendolo nelle primarie e dopo con 670mila voti. 670 mila cittadini quindi non contano niente davanti a 26 persone intimidite, ansiose di ingraziarsi il capo del Pd, premier e segretario, per continuare a vivere di politica. Ed è il terzo elemento che fa dell’anomalia italiana una metastasi: il pretendere con arroganza di vivere sine die di politica, come se non ci fossero altre arti, mestieri, professioni.

Ora l’anomalia continuerà: chi ha ordito tutto questo, e cioè Renzi, invece di trarne le conclusioni, si inventerà qualche artifizio levantino per giustificarlo. L’ha già fatto tramite il presidente del Pd Matteo Orfini, dandosi la zappa sui piedi, dicendo che Marino fu scacciato perché incapace, non per altri motivi: la lettura che se ne dà è un surrogato del pensiero del “capo”.

Renzi ha sbagliato nel ricorrere al notaio per sbarazzarsi di un sindaco non ossequioso, fuori dal “giglio magico”, ha sbagliato nel consegnare Roma al M5S e continua a farlo teorizzando tutto ciò con la campagna del “Si” al referendum costituzionale in progress, affermando che il potere dei cittadini aumenterà. La vicenda Marino dice l’esatto contrario.

Ecco la patologia italiana: il non rendere mai conto prima a se stessi, poi all’opinione pubblica delle proprie parole. Che, come diceva Elias Canetti, “ci passano oltre”.