Il pianto di Maria sul Golgota visto nei testi di De André
6 Gennaio 2017Faber, “l’amico fragile”, scrive durante gli anni più bui e caotici del dopoguerra italiano “La buona Novella”.
Una delle sue opere più critiche sul senso stesso del dolore, un dolore che trapela e non trapela fra le pieghe della storia cristiana. In “Tre madri”, titolo cui ci siamo ispirati, si può cogliere tutto il tormento “altro”, quello che non viene fino ad allora rappresentato ma che da quel momento grida a gran voce un sussulto di verità, verità storica.
De André, lo sappiamo, è sempre stato un cantautore capace di cogliere le inquietudini morali nella vita del genere umano; da Geordie alla vasta produzione di quella rivoluzione in musica iniziata grazie a Michele L. Straniero e i Cantacronache degli anni ’60. E con il suo stile inconfondibile ci parla di pagine della Storia con grande semplicità, immediatezza e rimescolando le carte facendo storcere il naso a diversi benpensanti. Ieri come oggi.
Con a fianco i due ladroni ormai al momento del Golgota, nell’atto che si potrebbe dire estremo per la cristianità, troviamo ai piedi del Redentore la madre, come è “naturale” che sia e, come è “naturale” che sia, troviamo anche le genitrici di Disma e Gesta (così è descritto nel Vangelo apocrifo di Nicodemo e che De André ricorda anche sotto il nome di Tito e Dimaco).
Tutto il senso dell’immagine della cristianità si sta per compiere ed ecco che, con un tocco tanto audace quanto magistrale, Fabrizio fa fare “un passo in avanti” alle due madri in quanto, dalla loro visione prospettica e nella loro mestizia, rammentano a Maria che «il figlio tuo farà ritorno».
È più che mai chiaro qui, come l’essenza del cristianesimo sia in realtà legata indissolubilmente all’idea dell’immagine, del “farsi immagine”. Quanto più teniamo presente questo spostamento dal logos all’eikon, dalla parola all’immagine, tanto meglio comprendiamo il senso del dolore e dell’aspettativa al fine di un riscatto, di una purificazione. Proprio lì, quando il verbo cessa di avere il suo predicatore “in carne e ossa”, si innesca il grande meccanismo della speranza in vista per quel che ha da venire e a cui, ciascuno, può ambire nel proprio percorso di fede. Almeno secondo la tradizione religiosa.
Teniamo però presente che nello stesso momento in cui De André ci parla dell’immagine dell’agonia, ci sta parlando anche di qualcosa di non vero, ci sta descrivendo una realtà apparente. L’immagine assume la connotazione di rappacificamento che l’essere umano mette da sempre in primo piano quando si trova a relazionarsi con l’io e soprattutto con l’altro.
«lascia a noi piangere un po’ più forte chi non risorgerà più dalla morte»
Un articolo profondo , scritto in modo chiaro e “sensibile”, fa cogliere pienamente il valore di quest’uomo e di questa memoorabile situazione. vivi complimenti
riccardo