Politica – God bless you, America! Trump, un Presidente americano

Politica – God bless you, America! Trump, un Presidente americano

9 Novembre 2016 0 Di Francesco Greco

donald-trump-america

Ha vinto Trump l’outsider, il brutto anatroccolo, il politically scorrect, il razzista, il sessista, quello che detesta le minoranze, il miliardario che ama il corpo delle donne, l’Apocalisse, indegno di avere in mano la valigetta nucleare: com’era nella logica delle cose.

Contro tutti i sondaggi, gli opinionisti, gli analisti, le rockstar accorse alla corte di Hillary Clinton (Beyoncè, Springsteen, Bon Jovi, ecc.). Trump ha vinto sia con i “grandi elettori” che nel voto popolare: i Repubblicani avranno la maggioranza al Congresso.

Otre a sondaggisti e opinionisti sotto choc, che si danno malati e cercano un analista, hanno perso le Borse mondiali, il pesos messicano, i bookmaker che ci avevano buttato dentro un sacco di soldi, che a loro hanno ingenuamente creduto, rovinandosi con le loro stesse mani col più classico harakiri.

Ha vinto l’America più profonda, misteriosa, sconosciuta, che sfugge ai sondaggi, quella del “sogno”, del mito della frontiera, quella coi calli alle mani che fa il Pil, che lavora in silenzio, se c’è lavoro, o altrimenti spera di cambiare la sua vita arrabattandosi, dandosi una possibilità. L’America più vera che cerca l’isola che non c’è.

L’America quotidiana che chiede pace, lavoro, sicurezza. Che vuole uscire dalla marginalità in cui l’hanno spinta anche due amministrazioni-Obama, stordita dalla propaganda sul migliore dei mondi possibili, e tornare a essere una potenza vera, autorevole, non più una tigre di carta avviata sulla DESOLATION ROAD (Bob Dylan), su cui dalle Twin Towers, 2001, cade l’HARD RAIN (la pioggia sporca del terrorismo) ancora il Nobel 2016.

Ha vinto l’America do-it-yourself, quella del sogno americano (Trump ne è la plastica incarnazione), dell’avventura dei pionieri, delle sfide impossibili, della chance per tutti, della felicità per diritto naturale scritta nella Carta dei Diritti dell’uomo.

Ha vinto Trump e siamo tutti americani. Dall’Atlantico al Pacifico, hanno riflettuto bene: non potevano dare la Casa Bianca a una signora che ha spifferato ai quattro venti i segreti della superpotenza ciacolando con mezzo mondo come si fa al mercatino rionale, non glielo dico, signora mia!

I migliori alleati “grandi elettori” del tycoon? Bill Clinton e la coppia presidenziale uscente. Barack e Michelle Obama in certi snodi sono apparsi arroganti, supponenti, provinciali, oltre le righe, e anche grotteschi. Hai ridotto l’America a uno zerbino consunto, hai governato due mandati e ancora vuoi determinare la successione? Ma vai casa o a giocare a squash o a basket.

Il marito e gli Obama sono stati la rovina dell’avvocato Rodham. Se se ne fossero stati a casa a farsi una birra forse sarebbe andata diversamente. Erano impresentabili. Trump ha fatto un sacco di errori, il più grave dei quali la minaccia di non riconoscere l’eventuale vincitrice (anche se qualche fondamento doveva averlo). Ma gli americani hanno sorvolato anche su questo derubricandolo a sociologia.

Alla povera Clinton é stata fatale anche una campagna elettorale incentrata sul privato, buona per farci i titoli sul giornale, ma estranea alla vita d’ogni giorno delle persone in carne e ossa: come puoi essere credibile se il molestatore seriale lo tieni in casa e ipocritamente fai finta di niente e anzi lo arruoli per la causa? Fatale che uscissero gli scheletri da tutti gli armadi spalancati, gli spettri evocati incautamente.

Non ha saputo parlare alla middle e working-class devastate dalla crisi, che hanno fatto volare Trump verso la vittoria: forse l’estremista “socialista” Sanders avrebbe avuto più possibilità.

Ma le ha giocato contro anche il malore avuto pochi giorni fa. Con la sua mole fisica, col corpaccione vissuto, Trump era più rassicurante per l’americano medio in un Paese dove la forma fisica, come nella Grecia e la Roma antica, è un’ossessione.

Ora i sondaggisti (“incolmabile il vantaggio della Clinton”) in gramaglie dovranno trovarsi un altro lavoro: i loro committenti politici, economici, finanziari, sono stati rovinati, trascinati nella Geenna e magari chiederanno i danni. Osservando il volo degli uccelli, scrutando i fondi di caffè o chiedendo alla Pizia, ne avrebbero saputo di più (e avrebbero risparmiato).

Una Waterloo pure per gli opinionisti, i moralisti di ogni risma, di qua e di là dell’oceano: quelli che hanno scoperto che la neo-first lady Melania ha lavorato da clandestina (come accade a tanti di noi quando emigriamo), che hanno fatto lo spelling sulla bocca di Trump, titolando sulla sua indegnità morale, come se Machiavelli non l’avesse nettamente separata dalla politica, e non certo ieri.

Hanno fallito in blocco come con la Brexit, giugno 2016 (e come Emilio Fede alle regionali, primavera 2005 con le bandierine azzurre). Quelli Usa e i nostri, caserecci, abituati per dna a mettere l’asino dove vuole il padrone, che confonde i sogni e i desideri con i fatti, gli auspici con la realtà. Go home!

Sondaggi e corsivi: acqua fresca, sociologia da bar sport. Ancora domenica su “Repubblica” Eugenio Scalfari spingeva Renzi e ammoniva contro il populista Trump (chissà se lo chi l’ha votato lo sapeva), ma parlando di Grillo, come se Renzi non fosse la quintessenza di tutti i populismi di ieri, oggi, domani.

Aspettando l’investitura ufficiale del 45mo presidente degli Usa il 9 dicembre, ci faremo una risata con gli opportunisti, quelli che ora salteranno sul carro del vincitore al grido di “Ve l’avevo detto io!”.

Il primo sarà il premier autoletto Renzi, che fino a poche ore fa, nella vulgata dell’aristocrazia snob di sinistra, una nicchia autoreferenziale, fra Leopolda e Capalbio, considerava il neo presidente Usa un populista e adesso è tentato di twittare il classico: “L’avevo previsto!”. Autorottamati.

Una vittoria che, fra l’altro, darà la spallata definitiva all’UE: il miliardario dialogherà con gli Stati nazionali uno per uno.