La “media-crità” filosofica. Dal nuovo Realismo all’antisemitismo heideggerriano

La “media-crità” filosofica. Dal nuovo Realismo all’antisemitismo heideggerriano

11 Marzo 2016 0 Di Simone Caminada

 Da quando è nato “lo scandalo Heidegger” non si sente più parlar neppure di “nuovo realismo”.

Sulla questione “Schwarze Hefte, Quaderni neri”, ultimamente diversi esponenti della filosofia si stanno impegnando a prendere posizione, che in molti casi non equivale a dare una visione netta di questo o quel quesito in cui si “inciampa” leggendoli; per taluni si tratta molto più semplicemente di tentare di occupare una sedia, uno spazio vuoto, se mai ancora ce ne fossero, nel circolo mass mediatico che, anche in filosofia, si può evidentemente coltivare. È stavolta l’occasione è ghiotta, il boccone è prelibato. Al centro del dibattito non si trovano né Heidegger né il suo pensiero bensì due dei temi più scottanti della storia recente: Shoah e antisemitismo. Questo è certamente il perno che regge tutta la polemica creata “ad hoc”.

Qualcosa che scalderebbe anche la sempre attenta “casalinga di Voghera”, direbbe Arbasino ma, il fatto che Heidegger sicuramente abbia avuto una visione vicina all’ideologia nazionalsocialista, credo che i più lo sappiamo e questo, son convinto, non sia più un tabù da disvelare. Molti, consci di ciò che sembrerebbe palese, hanno investito mesi chiedendosi se tutto ciò che provenisse da Heidegger e seguaci fosse da scartare in virtù di un credo politico (la Storia poi ha detto la sua) sbagliato o se, comunque, potesse rimanere materiale fondamentale per il pensiero del ‘900.

Indubbiamente è da ritenere che, lo scrittore di Sein und Zeit, non può essere derubricato e incasellato secondo un “senno di poi” che nasce dalla parte “giusta” della barricata. Sappiamo in fondo, che le dittature di quegli anni, sia di destra sia di sinistra, hanno portato con sé strascichi non indifferenti e crimini contro l’umanità e l’umano in proporzioni ineguagliabili; Ineguagliabili anche perché le dittature del ‘900, ricordiamocelo, furono le prime nella Storia a poter esser documentate con “il mezzo nuovo”; fino ad allora non vi potevano esser eguali atrocità così “a presa diretta” raccontate. Anche questo fa!

Ora, la questione più rilevante in Italia non sembra tanto seguire il filo del discorso gettato dal filosofo di Messkirch, quanto l’ombra degli “hashtag” che lascian dietro di sé i suoi scritti, questi “famigerati” Quaderni neri. A nulla vale spiegare che nero è il colore delle copertine, come in uso in quegli anni, per distaccare il pensiero dalla teatralità che il colore dell’oscurità può dare al “caso”. Nero è un bellissimo colore che si abbina con quasi tutto, anche con l’idea del nazismo e, come non mai, con l’idea della morte. Morte, tragedia, olocausto, vittime, umani… troppo umani.

Ormai i filosofi che discutono intorno alla questione Heidegger, si danno un gran da fare per stabilire se fosse stato nazista o meno; lo era, punto. Al di là di ciò, cosa vuol dire oggi guardare ad un pensatore? Il suo pensiero, ha da fare con il mondo che lo circonda? E se si, anche se tenta di astrarsi da questo “mondo che lo circonda”, può, ma soprattutto, ne è in diritto? Queste sono le domande che secondo me si deve rispondere prima di darsi al giudizio sull’operato di un pensatore. Ma anche di un’artista, badate bene, come di chiunque entri in contatto con il mondo determinando, appunto, la sua presenza.

Heidegger, chiedendo di tener secretata così a lungo questa serie di scritti, ci ha costretti, forse volontariamente, a riprogrammare tutto il suo pensiero alla luce dei nuovi fatti emersi; una delle certezze da tenere, io credo sia, per chi ha e avrà l’onore di portarci a conoscenza dei nuovi sviluppi, di “ri-programmarsi” a sua volta uscendo dal proprio spazio tempo, dai propri schemi ed entrando, per quanto possibile, in tutto quel che, con l’uomo ed il filosofo Heidegger, rientrava. Dov’egli era gettato.

A conclusione, Heidegger, penso l’avesse già spiegato a suo tempo come comportarsi con lui e con le sue opere:

Holz è un antico nome che designa la foresta. Nello Holz vi sono dei Wege, dei sentieri, che, il più delle volte, finiscono improvvisamente, coperti di erbe, in cammini non battuti. Sono gli Holzwege.

Ognuno procede per proprio conto, ma nella medesima foresta. Spesso l’uno sembra uguale all’altro. Ma è solo un’apparenza.  

Heidegger dice chiaramente ne “L’origine dell’opera d’arte”, in epigrafe, che capitano sentieri che, ad un certo punto, finiscono per sembrare interrotti e dove ognuno, per procedere, deve andare avanti raccogliendo passo passo le tracce che lo stesso sentiero lascia. Heidegger è, a mio avviso un sentiero, è uno Holzwege.