Il Paese verrà distrutto all’alba. Note fra Genesi 19 e l’oggi.

Il Paese verrà distrutto all’alba. Note fra Genesi 19 e l’oggi.

19 Luglio 2017 0 Di Danilo Campanella

“I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. 2 E disse: «Miei signori, venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada».

In questo passo della Genesi 19 due forestieri un po’ speciali entrano nell’antica Decapoli, ed analizzano per il Signore la società politica che si trovano a dover giudicare. Come aveva detto il Supremo giudice “anche se trovassi solo dieci giusti non distruggerò la città”.

Ad accoglierli, Lot, cugino di Abramo, che li ospiterà a casa sua. La morale della storia è che tutti gli abitanti del micro continente erano degli aberranti peccatori; dunque, aveva più senso che la famiglia di Lot, la sola onesta, secondo loro, uscisse dalla città, prima che tutto venisse “nuclearizzato” e raso al suolo. «Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!». 18 Ma Lot gli disse:

«No, mio Signore! 19 Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato una grande misericordia verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. 20 Vedi questa città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù – non è una piccola cosa? – e così la mia vita sarà salva». 21 Gli rispose: «Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato. 22 Presto, fuggi là perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato».

Tanto che non ne rimase più nulla: 23 Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, 24 quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. 25 Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo (…)7 Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato davanti al Signore; 28 contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.

Lungi da me erigermi a giudice di qualcuno. Tuttavia, non posso che denunciare pubblicamente e sempre con maggiore sdegno la realtà sociale in cui mi trovo, e che mi appare sempre più  ripugnante.

Non parlo di crisi, di mafia, di clandestini, o di malapolitica. Mi riferisco al sostrato universale della “gente” che mi pare egualmente adagiata ai vizi dei potenti che vanno a criticare. In qualsiasi ufficio in cui entri, ospedale, ambulatorio, mezzo pubblico, persino dal veterinario, quasi mi cadrebbero le braccia nel vedere quanto questa società non sia in crisi, ma in declino. Il Signore, nel mito biblico, non distrugge tutto perché gli abitanti delle città erano degli “zozzoni”; questa lettura cattolica non gli rende giustizia. Anche perché il nostro contemporaneo si impegna ben oltre e, a volerle paragonare, Sodoma o Gomorra apparirebbero come un collegio di educande. Ma torniamo a noi.

La differenza è che dalla crisi ci si risolleva, dal declino no. E forse è meglio così.

Facendo il finto tonto, assorbo i comportamenti e i ragionamenti altrui e riesco meglio a constatare che la natura intrinseca delle persone è dedita al male. Ognuno cerca di fregare il prossimo come meglio può. Chi offre un servizio esercita il suo ruolo nel modo più impersonale possibile. La categoria che in assoluto trovo ripugnante, dal punto di vista lavorativo, sono i trentenni e i quarantenni. Non ho ancora capito bene il perché, ma le persone più mature mantengono un certo aplomb; hanno, per così dire, un’inclinazione maggiore a provare vergogna per le nefandezze esagerate. Hanno il senso della misura.

I giovanissimi sono molto sensibili e competenti. Forse più anaffettivi, rispetto alle passate generazioni. Questa distanza è data probabilmente da un eccesso di sensibilità, e quindi di timore nei rapporti con il prossimo. Cosa che, a causa delle nuove tecnologie, coltivano in verità sempre meno.

I trentenni-quarantenni, invece, danno l’idea di uomini e donne che, aspettandosi il posto fisso al ministero, o forse la fortuna di qualche parente politico, sono stati delusi dai tempi che corrono. In una società in crisi e al contempo in evoluzione, si sono trovati in un limbo che li costringe ad “accontentarsi” dell’impieguzzo privato o, se va bene, municipalizzato. Non hanno avuto la fortuna dei loro genitori, ma non sono nemmeno capaci di essere competenti come i giovanissimi; e questo gli rode dentro, e si vede. Cercano di fare il meno possibile, sporcarsi il meno possibile, ritagliarsi il tempo per la vacanza al mare e per l’uscita serale.

Il lavoro è per questi un optional sgradito, o a mala pena insopportabile.

I trentenni e i quarantenni maschi si dividono prevalentemente in due categorie: i mammoni e i vitelloni. Sulle donne mi astengo per pudore. La categoria che, comunque, noto maggiormente, è quella delle trentenni che difendono la loro individualità, la loro emancipazione, ma non vedono l’ora di stare a casa senza far nulla. Il problema è che loro non sanno far nulla, perché le loro madri le hanno tenute lontane dall’insegnamento delle faccende domestiche. Convivono per non stare sole e, quindi, per necessità, e non per un progetto.

E le coppie, fra loro, non si sopportano. Il loro stare insieme è uno scimmiottare la famiglia, una finzione. La via maestra per le femminucce è quella dello studio superiore, poi universitario, lavoro e carriera. Ma datosi che non tutte hanno voglia di lavorare, e meno hanno le capacità di fare carriera, cosa fare?

La risposta me l’hanno data due giovani donne che, al bar, inconsapevoli, parlavano di questo. L’altra rispose, a voce non troppo bassa: “Scusa, ma fatte mette in cinta da Sergio, no?” e l’altra “Seee…finché quello se decide!” e l’amica: “E tu mettiti in cinta!” rispose, gomitandole sul braccio, per farle capire la trama sottile. Pochi giorni prima un’amica, molto più onestamente, mi ha rivelato che tra un paio d’anni (ne ha trenta) trova il primo che capita perché vuole un figlio, pur senza il marito, perché tanto non le serve a niente. Sono d’accordo.

Si lasci il mammone con mamma e il vitellone in discoteca. Non li si denudi della libertà, dello stipendio, della macchina e dell’appartamento. L’uomo non serve, e lo si gridi ai quatto venti.

Si dice che quando il diavolo t’accarezza vuole l’anima e quando la trent’enne single si struscia vuole già divorziare, perché senza divorzio non si può avere il mantenimento. Che malignità!

Per queste donne la maternità non è il coronamento di una vita piena e di una spiritualità appagata, ma il mezzo per non far più nulla o, quando va bene, un ripiego, un passatempo biologico per non pensare al proprio fallimento. Una volta chiesi a una di loro, che maltrattava il compagno, perché stesse con lui. Lei mi rispose: “E che fai, stai sola? Tanto siete tutti così”. Nel nostro disgraziato passato c’era un rompiscatole e una povera sottomessa; oggi è il contrario. Le donne fanno la guerra per avere un uomo e,  quando lo hanno avuto, se lo mettono sotto i piedi.

Naturalmente, le sante lettrici che criticheranno queste righe, adoratrici del sacro cuore democratico di rito consumistico, anatemizzando il sottoscritto, diranno che

gli uomini non si prendono le proprie responsabilità, e che non bisogna generalizzare, perché io (bla bla bla) perché altre donne invece (bla bla bla) e così via.

Sfortunatamente per loro, la verità sta sotto gli occhi di tutti.

Fare figli con una o uno dei rappresentanti di queste generazioni è improponibile; equivarrebbe alla notizia di avere un tumore. Gli anziani muoiono, i giovani se ne vanno, le generazioni di mezzo sono spiaggiate in un limbo sociale senza uscita, in cui il loro unico fine consiste nel creare disservizi ed essere dei consumatori.

Quindi, onde evitare il disastro personale e familiare, visto e considerato che non c’è più speranza, né redenzione, l’unica soluzione è quella di uscire dalla Decapoli europea. Perché essa verrà distrutta all’alba.

 

  1. Nel momento che lo scrivente sproloquia in queste righe, una quarant’enne ben vestita, in strada, grida frasi senza senso. Ma non si dica che è matta. E’ solo esaurita.