Religione – Intervista con Diego Fusaro: il riconoscimento dell’Olocausto Rom
27 Gennaio 2016La Shoah è il genocidio per eccellenza. Ma il Porrajomos?
Porrajmos o Porajmos definisce, in lingua romanì, lo sterminio da parte delle milizie militari nazifasciste, durante la seconda guerra mondiale, delle popolazioni Romanì ovvero Rom, Sinti, Kalè, Manouches e Romanichals, maggiormente etichettate e conosciute nell’accezione volgare e discriminante “Zingare”
Uno sterminio che va di pari passo con quello dei dissidenti e oppositori politici, degli omosessuali, dei comunisti, degli ebrei e di tutti quelli che «non piacevano al Re»[1].
Con estremo rispetto verso le vittime della Shoah e dell’Olocauto nella sua interezza, ho chiesto al giovane filosofo torinese Diego Fusaro, la motivazione che, secondo lui, spinge ancora oggi il circuito mediatico a tenere relativamente meno conto delle vittime non di religione ebraica.
Sarà solo una questione numerica? Gli “altri”, perché interessano meno?
Le vittime non hanno lo stesso peso e valore?
Ne è nata una discussione che credo interessante. Seguite…
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Diego, cos’è oggi la “memoria” nei confronti delle vittime?
Proprio perché si tratta di memoria, bisognerebbe farne un uso non selettivo cioè ricordare tutte le vittime del nazifascismo; non soltanto gli ebrei, che ovviamente vanno ricordati, ma anche e accanto ad essi, i rom che tu evocavi prima, gli omosessuali, i comunisti, i dissidenti, ecc., cioè tutte quelle figure che sono state oggetto della criminale politica nazista di deportazione, di tortura e di, appunto, sterminio, che (in quanto vittime) hanno diritto ad essere ricordate.
Se noi, nel giorno della memoria, ricordiamo solo una “categoria”, perciò stesso facciamo un uso violento della memoria, ovvero, si va ad escludere, per ragioni che si possono ampiamente discutere, “categorie” che, ingiustamente, vengono ritenute non degne di essere ricordate.
A tal proposito, mi hai ricordato l’espressione, che è anche alla base della feroce campagna nazista di eugenetica, «vite indegne di essere vissute». È dunque un proseguirne idealmente o ideologicamente, seppur in maniera totalmente non paragonabile, i presupposti?
Lo storico dei concetti Reinhart Koselleck, in molti dei suoi interventi acuti e controcorrente, bene o male, affermava che «ricordare solo certe categorie, in particolare quella che è stata più oggetto della politica criminale nazista significa, di fatto, proseguire paradossalmente nella gerarchia nazista con cui procedevano, appunto, i nazisti». Ora, poiché noi vogliamo sottrarci a quest’uso che diventa esso stesso criminale della memoria, dobbiamo, se vogliamo farne buon uso, ricordare tutte le vittime e, anche questa, domanda non oziosa, quale deve essere lo scopo della memoria?
Giusto Diego, parliamo dello scopo del buon uso…
Io credo, e in questo do pienamente ragione al filosofo della scuola francofortese Theodor Adorno, lo scopo della memoria deve essere uno scopo pedagogico; deve servire ad istruire le nuove generazioni di modo che possano apprendere dal passato, anche criminale; passato che, a sua volta, non torni perciò a ripetersi.
Quindi, la memoria non deve essere una memoria ideologica e non deve essere annessa in progetti politici di giustificazione del presente e delle sue politiche. Deve essere, ripeto, una funzione pedagogica volta a far si che gli orrori del passato non si riproducano magari in altra forma.
Dico questo perché oggi la memoria, mi pare, venga sempre e più spesso annessa in politica ideologiche, volte a ricordare le tragedie del passato fortunatamente estinte, come la Shoah appunto, per convincere la mente degli abitatori del presente che la violenza appartenga solo al passato. Ti dirò di più, queste nuove “politiche” ci lasciano ad intendere che, tutto ciò che avviene nel presente, nulla abbia da fare con la violenza e con le politiche criminali del passato.
Tutto questo, laddove, ad uno sguardo attento, noi scopriamo, al suo contrario, una storia amante del ripetersi perché, come diceva Antonio Gramsci, «essa insegna ma non trova scolari».
Oggi, facendo un esempio a cui poi ne potremmo aggiungerne molti altri, nell’odierna Unione Europea della finanza e dell’Euro, assistiamo ad un ritorno di forme, direi con un eufemismo di “asimmetria” fra i popoli e di fortissime violenze, di tipo economico, in coerenza con i principi del tecno-capitalismo oggi imperante.
Tutto questo ci pone di fronte a una situazione in cui l’analogia storica con il passato puùò essere istruttiva.
Ti faccio una ultima domanda dando uno sguardo, anzi, una stoccata al -cosiddetto- mainstream: parlando oggi di teatro, musica, cinema e delle arti in generale che vogliono ripescare nella memoria collettiva per far riemergere fatti non molto chiari o, comunque, non pienamente chiariti, pare anche a te che oggi, questo Sistema, boicotti de facto, questo tipo di arte e di ricordo storico?
Certo. Direi che, nell’essenziale, il sistema dei media, che io preferisco chiamare il “circolo mediatico”, non ha alcun interesse nel riportare il passato per come effettivamente è stato e, dunque, nella funzione pedagogica che prima delineavo. Al contrario, il sistema della manipolazione organizzata mass-mediatica, utilizza ideologicamente il passato, se vuoi anche nella forma che Ricœur chiamava «della memoria abusivamente comandata», per rispondere ad esigenze ideologiche tutte legate al presente e, quindi, non ha alcun interesse a ricordare come effettivamente andarono le cose, per esempio, al tempo del nazismo ma, semplicemente, fa incursioni nel passato che sono funzionali esclusivamente al presente ed alle sue logiche ideologiche quindi, in ultima istanza, non mi stupisco affatto che il circuito perverso mass-mediatico sia altamente ideologico nel senso che abbiamo pocanzi delineato.
colloquio informale con Diego Fusaro avvenuto nel corso del 2015